Buongiorno Viaggiatori!
siamo arrivati all’ultimo lunedì del mese e, anche oggi, sono qui con una nuova recensione.
Premetto che il romanzo che ho letto in questa settimana è stato frutto dell’avvio di una collaborazione con l’Ufficio Stampa “Il Taccuino”, un passo molto significativo ed importante per me e per il blog.
Il libro in questione è La zanzara muta di Gianfranco Spinazzi. Pubblicato lo scorso aprile da Tragopano Edizioni. Prezzo di copertina (cartaceo) € 15,00. Versione ebook € 2,99.
La vicenda è ambientata a Venezia e tutto ha inizio quando due anziani, assidui frequentatori dello stesso bar, si incontrano. Dopo una discussione riguardo una possibile passione condivisa, i due decidono di darsi appuntamento a casa di uno di loro e approfondire la questione. Quando l’ospite si presenta, accade però l’inaspettato: il padrone di casa lo aggredisce colpendolo alla testa. Non si tratta di una ferita mortale ma forte abbastanza da stordire, almeno inizialmente, il visitatore. Superato il momento di imbarazzo, il padrone di casa cerca di stabilire un dialogo apparentemente sconclusionato e senza senso, viste le circostanze.
I due restano chiusi nella stessa stanza per molto tempo e quella che all’inizio era nata come condivisione di una passione (tra l’altro inesistente), si rivela essere in realtà la condivisione di una vita intera. Il primo a parlare è il padrone di casa che si lancia in un dialogo serrato, ironico e malinconico al tempo stesso. Racconta della sua vita, dei suoi dolori, dei rimorsi e dei rimpianti. Insomma, dei suoi fallimenti. Finalmente dopo tanto tempo l’anziano ha qualcuno con cui sfogarsi e, sicuramente, non vuole farsi scappare l’occasione.
Da questo incontro/scontro però, nasce inaspettatamente qualcosa di positivo. Nella seconda parte del romanzo, infatti, uno dei due vecchietti decide di cercare l’altro e si ritrovano, ancora una volta, in casa a parlare e raccontarsi esperienze di vita. Con il passare del tempo, i due anziani diventano l’uno lo specchio dell’altro. Si confrontano e scoprono di non essere poi così diversi. Sono entrambi soli, immersi nei loro “ingorghi mentali”, rimpianti, fallimenti e speranze.
I dialoghi tra i due vecchietti sono intervallati da monologhi che scaturiscono nella mente prima di uno poi dell’altro anziano. Entrambi riflettono sui medesimi aspetti della loro vita passata, riflessioni amare sui treni persi, su quanto sognato e mai realizzato.
Il romanzo è molto particolare, non tanto dal punto di vista della sostanza quanto della forma. Il libro può essere infatti diviso idealmente in due parti composte dai dialoghi tra i due anziani e dai pensieri, presentati sotto forma di flusso di coscienza, che scaturiscono nella mente di ciascuno di essi. Senza dubbio si tratta di un modo originale di presentare temi ormai usuali della letteratura quali la vecchiaia, la solitudine, la fugacità della vita che spesso si conclude tra mille rimorsi e rimpianti. I due protagonisti sono estremamente stravaganti ma anche molto umani.
Il fatto che i pensieri vengano riportati con questo espediente particolare, ha creato inizialmente un po’ di confusione. Ho fatto fatica a comprendere quale fosse l’obiettivo ultimo di questi pensieri, convinta che potessero avere una conclusione. In realtà poi ho capito che si tratta semplicemente di un rimuginare di entrambi i protagonisti che si scoprono in qualche modo legati da una vita fallimentare.
Forse per la prima volta il tema della senilità viene affrontato in modo completamente nuovo. L’autore vuole dimostrarci che un essere umano arrivato ormai alla fase finale della sua vita, non necessariamente deve arrendersi alla solitudine e al dolore. Il punto di forza di questo romanzo è proprio la diversa prospettiva che ci viene proposta riguardo questa fase della vita che, senza dubbio, rappresenta il momento di maggiore consapevolezza di ciò che è stato ma non è soltanto questo. C’è ancora tempo per rinascere, creare legami con altri esseri umani e magari per riscattarsi degli errori commessi.
A questo proposito ho trovato emblematica la metafora tra il colombo che sta per morire in disparte, e l’anziano, condannato allo stesso destino. Il titolo? Allude alla fine del ronzio dovuto al rimuginare di entrambi gli anziani; finalmente, dopo aver condiviso e dissipato i rimpianti che caratterizzavano la loro vita, hanno entrambi raggiunto la pace dei sensi.
E’ stata una lettura molto diversa da quelle che faccio di solito. Non è stato facile inizialmente approcciarsi allo stile dell’autore ma, con lo scorrere delle pagine, sono entrata completamente in simbiosi con i due anziani. E’ come se fossi stata anche io in quella stanza ad ascoltare la loro conversazione. Ho vissuto le loro vite e provato il loro dolore.
All’interno del romanzo ci sono temi molto delicati e spesso difficili da trattare in modo originale. Credo che l’autore non avrebbe potuto fare meglio: ha espresso perfettamente tutte le sensazioni dei protagonisti usando un lessico semplice ma contorto che rifletteva, appunto, i pensieri dei due anziani. I protagonisti hanno compiuto un’evoluzione nel loro modo di pensare e approcciarsi alla vecchiaia: inizialmente un sentore di morte vagava sulle loro vite; successivamente però c’è stata la svolta e la negatività ha lasciato il posto a qualcosa di inaspettato e sorprendente: la creazione di un legame profondo tra esseri umani che diventano complici e si abbandonano alla bellezza della condivisione.
Unico appunto negativo riguarda la mancanza, a volte, di punteggiatura al posto giusto e qualche errore di battitura riscontrato qua e là. In ogni caso niente di troppo grave al punto da inficiare la lettura.
Voto: 5 ⭐⭐⭐⭐⭐
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–Elaysa–
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