Buonasera Viaggiatori!
Oggi si ricomincia ufficialmente!
Negli ultimi giorni le cose sono andate molto meglio.
Vi sarete sicuramente accorti che ho sto pubblicando articoli e postando su Instagram quotidianamente…insomma, sto tornando alla normalità!
Mancava soltanto un piccolo tassello… la recensione!
E finalmente eccomi qui!
Per questo grande ritorno ho scelto di parlarvi di uno degli ultimi libri letti ovvero L’uomo in fuga di Stephen King (scritto sotto lo pseudonimo di Richard Bachman).
Ci troviamo in America. Anno 2025.
Analfabetismo. Disoccupazione. Inquinamento atmosferico. Degrado.
Sono queste le parole che descrivono al meglio la società descritta in questo romanzo distopico.
Ah no, ne manca ancora una: tri-vu, ovvero la televisione tridimensionale.
Tutti i cittadini infatti sono obbligati ad averne una in casa ed è così anche per Ben Richards, il nostro protagonista.
Ben vive nella città di Harding, nel sobborgo di Co-Op City insieme a Sheila, sua moglie e Cathy la figlioletta gravemente malata.
Dopo aver svolto molteplici lavori, Ben e la sua famiglia si trovano ora in ristrettezze economiche e, con una figlia da curare, le cose stanno rapidamente peggiorando.
La loro condizione non è un mistero: King ce la presenta già dalla prima scena del romanzo che si apre con Ben incollato davanti alla tri-vu intento a guardare uno stupido gioco a premi (come se ne vedono tanti su quello schermo).
All’improvviso, Ben Richards ha l’illuminazione: parteciperà al gioco “L’uomo in fuga”.
In palio c’è una cifra esorbitante che potrebbe aiutarlo a risolvere i suoi problemi economici e, di conseguenza, curare la figlia.
Sembra la via di fuga perfetta, la soluzione a tutto.
La realtà però, è ben diversa.
Molto presto Richards si ritrova ad essere soltanto un povero uomo in gabbia; una preda facile per il sistema che lo ha arruolato come bersaglio per puro divertimento del pubblico.
Richards infatti, prendendo parte al reality show, sta mettendo la sua vita nelle mani del sistema, un essere supremo che impone le proprie condizioni a discapito di poveri cittadini disperati che tentano il tutto per tutto.
Come potete immaginare, il gioco non è un classico gioco in cui bisogna rispondere a domande di cultura generale. La posta è molto più alta.
La regola? Sopravvivere. Il prescelto, selezionato accuratamente tramite vari test effettuati nella sede centrale dei giochi, deve tentare di sopravvivere il più a lungo possibile.
Facile? Si, se non avesse alle calcagna gli aguzzini del sistema, chiamati Cacciatori, e il mondo intero.
La ricompensa? Cento nuovi dollari per ogni ora di sopravvivenza; 500 nuovi dollari per ogni pubblico ufficiale ucciso.
Lo scopo? Sopravvivere per 30 giorni e guadagnare una cifra astronomica: un miliardo di dollari. A patto che riesca a sopravvivere, cosa affatto scontata.
Il gioco esiste da 6 anni e nessuno è mai sopravvissuto.
Indubbiamente siamo in un futuro distopico, molto lontano rispetto al 1982, anno di scrittura del romanzo. Un futuro sconvolgente in cui i cittadini sono continuamente spiati e controllati dal sistema che vede e sa tutto.
Un sistema che ti dà la caccia con tutti i mezzi, leciti o illeciti.
King ci descrive una società in cui vale la legge del più forte.
Il gioco premia chi è furbo… e spietato.
Da questo punto di vista, la capacità di King di prevedere un qualcosa di molto lontano da ciò che conosce, è sorprendente.
Il contesto è molto ben costruito, tutto è studiato a regola d’arte.
I personaggi, sia quelli principali che quelli secondari, sono ben caratterizzati. Le descrizioni dettagliate permettono al lettore di immaginarli mentre si avvicinano alle postazioni dei test all’interno del Games Building, o mentre si accalcano davanti agli ascensori in attesa di arrivare in alto.
Capacità di scrittura e fantasia di Stephen King sono innegabili ma, sinceramente, mi aspettavo qualcosa in più.
A dispetto del titolo, purtroppo il ritmo narrativo è molto lento.
Da lettrice, speravo di sentirmi anche io “l’uomo in fuga” cosa che, purtroppo, non è successa per gran parte del romanzo. Soltanto nelle ultime 80/90 pagine sono riuscita a percepire questa sensazione.
Non è un romanzo d’azione bensì un romanzo psicologico.
La psicologia dei personaggi, di Ben in particolare, è il cardine di tutto. Molto spesso veniamo catapultati nella mente di Richards, ci perdiamo nei meandri dei suoi pensieri e delle sue paure Richards è in fuga ma non soltanto dai Cacciatori. Fugge dalle difficoltà, fugge dalla sua condizione. Fugge da sé stesso.
Molto spesso viene descritto come il mostro della situazione, come colui che è pronto a tutto, anche ad uccidere, pur di salvarsi e guadagnare denaro.
In realtà Ben Richards è solo una vittima della società. Un uomo disperato che è disposto a morire per salvare la sua famiglia.
Finale aperto. Scena molto emblematica, rappresentata come un tentativo di riscatto del protagonista sul sistema.
Nel complesso il libro mi è piaciuto ma non lo reputo tra i migliori dell’autore.
Credo che sia mancata la scintilla iniziale, l’elemento che mi ha fatto dire “wow” fin da subito.
I veri colpi di scena arrivano dopo, forse troppo tardi.
⭐⭐⭐/5
–Elaysa–
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