Buon pomeriggio Viaggiatori!
come anticipato stamattina, eccomi con l’incipit del libro in lettura.

Titolo: Potrai dire che mi conoscevi
Autore: K.M Soehnlein
Tratto da: capitolo 1
«Non tornavo a Greenlawn da cinque anni, e non appena misi piede giĂą dall’autobus che mi aveva portato in cittĂ dall’aeroporto di Newark fu subito chiaro che l’unica cosa a essere cambiata ero io.
Molti dei negozi a gestione famigliare di quando ero bambino erano ancora al loro posto: il negozio di animali, quello di oggetti per la casa, quello che vendeva strumenti musicali, quello che faceva le tende su misura. C’era anche «I dolciumi di Georgie», dove avevo lavorato un’estate quand’ero alle superiori, a mescolare gelati e cioccolato nel seminterrato, aggiungendo una decina di chili alla mia costituzione da adolescente. Erano negozi fatti di mattoni, tutti della stessa tonalità calda e smussati dalle intemperie, così da far sembrare la strada principale, un’unica lunga facciata, compatta e provata dal tempo. A San Francisco, dove vivevo, i mattoni praticamente non esistevano; in caso di terremoto, i mattoni crollano. I vecchi magazzini di mattoni che costeggiavo in bici quotidianamente andando a casa di Woody, il mio ragazzo, erano tutti stati rinforzati con pilastri d’acciaio collocati a X lungo i muri portanti. Sembrava di vedere un tutore piazzato su una gamba prima di una qualsiasi frattura: i palazzi erano più resistenti, ma improvvisamente ti rendevi conto di quanto fosse fragile la struttura originaria.
Via via che crescevo, Greenlawn, New Jersey, era divenuto per me il simbolo del conformismo e della claustrofobia americani. E ora eccolo lì, un paesino grazioso preservato nell’ambra. Contribuivano all’effetto i mattoni, e anche il fatto che sulla strada principale non ci fossero negozi appartenenti a qualche grande catena. Guardai l’incrocio verso il parco della città il cui monumento ai Veterani e il gazebo bianco erano stati per il mio io ribelle di adolescente simboli di oppressione, mentre ora mi parevano semplicemente antiquati; non era più l’America del Ku Klux Klan, ma quella dei film a lieto fine.»
–Elaysa–
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