Buongiorno Viaggiatori!
Iniziamo la settimana nel modo giusto, come si conviene a questo blog ovvero con una nuova recensione.
Stamattina sono qui per parlarvi di un libro che ho ricevuto (in formato cartaceo) dall’ufficio stampa con cui collaboro.
Si tratta di La coreografia del dubbio di Fausto Rampazzo, edito da L’Inferno Edizioni.
Ho terminato la lettura di questo libro già qualche giorno fa ma ho avuto bisogno di tempo per lasciar decantare i miei pensieri a riguardo. Ho tante cose da dire e non si sta rivelando per niente facile metterle in ordine.
Dunque, so che potrebbe essere controproducente dirlo ora ma voglio essere chiara fin da subito: questa lettura è stata una delusione.
E ora vi dico perché.
Partiamo da quella che dovrebbe essere la cosa più semplice di cui parlare: la trama. Uso il condizionale perché, come vedrete, non è proprio così.
Il libro si basa sulla storia vera di Antonio Russo, coraggioso free-lance di Radio Radicale, che con i suoi reportage, mirava a far venire a galla gli orrori della guerra in Cecenia mettendo costantemente in pericolo la sua vita. Tuttavia, il protagonista reale di questo romanzo è Michele Rizzo, un uomo ambizioso che, suo malgrado, si ritrova a dover indagare sugli spostamenti di Antonio Russo.
Questo ci viene detto fin dalla sinossi, riportata in quarta di copertina che prosegue così:
[…] un romanzo a più piani che intreccia la grande storia con le vicende personali di due generazioni tormentate, alla perenne ricerca di se, in balia di quello smarrimento delle certezze non ancora assunto a fatto conclamato […].
Capite bene che, la maggior parte di noi, me compresa, rimarrebbe affascinata leggendo queste righe.
La sinossi serve proprio a colpire e incuriosire il lettore.
Ma ci deve essere anche altro. Infatti, la condizione essenziale per giudicare positivamente un libro è che la sinossi rispecchi poi effettivamente col contenuto delle pagine.
E, purtroppo, in questo caso non succede.
Mi spiego meglio.
Il contrasto tra generazioni a cui si fa riferimento nella sinossi è quello tra genitori e figli o, in senso più ampio tra adulti e ragazzi. Nel romanzo infatti abbiamo alcuni rappresentanti di entrambe le categorie. Tra i primi, ovviamente, Michele e sua moglie Veronica, personaggio assolutamente odioso e utile soltanto al fine di aumentare il tormento interiore di Michele; i secondi invece sono incarnati da Nicole, figlia di Michele e dai suoi amici, Davide e Daniele.
Il problema? La relazione tra questi personaggi è piena zeppa di stereotipi.
Nicole è la figlia ribelle che esce di nascosto con i suoi amici e che, per farsi accettare, inizia a spacciare droga.. mettendosi nei casini.
Davide e Daniele sono due esemplari di sesso maschile, entrambi innamorati di Nicole. Davide, geloso, arriva addirittura a dare la caccia a Daniele appostandosi sotto casa sua brandendo una pistola.
Ovviamente Daniele è visto come il nemico che va eliminato. Risultato? Nicole li manda a quel paese entrambi e fa un ulteriore passo avanti nella sua perdizione: si prostituisce.
Certamente dal lato “adulti” le cose non vanno meglio.
Michele, sempre lontano da casa, giustifica i suoi viaggi dando la colpa al lavoro. In realtà, molto spesso ha appuntamenti tutt’altro che galanti con simpatiche signorine dell’est.
Veronica, dal canto suo, è la classica moglie succube di tutto e tutti. Non si ribella mai e si gode la bella vita.
Purtroppo ho trovato questi personaggi molto costruiti, sia nei comportamenti che nel modo di esprimersi. Per certi versi rispecchiano il mondo di oggi tuttavia mi aspettavo di meglio.
L’unica che salvo è proprio Nicole, la vera vittima di tutta la vicenda personale che viene raccontata nel libro.
Da qui arriviamo al secondo grande problema di questo libro: la coesistenza del tutto disomogenea di grande storia e vicende personali dei protagonisti.
Per come ci viene presentato, il romanzo avrebbe dovuto dare importanza all’una e all’altra, indistintamente. L’autore avrebbe dovuto far convivere in maniera equilibrata il tormento personale dei protagonisti e quello vissuto da Russo, derivato dalla guerra in Cecenia.
Come potete ben immaginare, l’equilibro manca completamente.
La scena viene monopolizzata dai problemi familiari e adolescenziali dei protagonisti relegando quella che viene definita la grande storia in un angolo.
In sostanza, le premesse erano buone ma lo sviluppo non si è rivelato all’altezza.
I due piani del racconto, anche se presenti, sono strutturati male.
Ho avuto quasi l’impressione che alla base non ci fosse un’idea solida e ben definita. In alcuni momenti sembrava come se l’autore stesse seguendo i suoi pensieri, passando da un personaggio all’altro, senza alcun filo logico.
E’ proprio vero che il troppo, molto spesso, stroppia.
Concentrarsi su tante cose contemporaneamente, o meglio, avere la pretesa di poterlo fare, rischia di distogliere l’attenzione dal nucleo centrale della vicenda.
A mio parere, in questo caso, non si è data la giusta rilevanza a ciò che contava davvero cioè la storia di Antonio Russo, il giornalista free-lance ingiustamente assassinato in seguito alle scoperte fatte.
Il risultato è stato un’enorme confusione e tanta insoddisfazione.
C’è da dire che, in tutto questo caos, qualche scintilla ogni tanto si è accesa.
Infatti, le parti raccontate dal punto di vista di Antonio Russo sono risultate molto interessanti.
La descrizione degli orrori della guerra, delle torture e dei tentativi di scappare, hanno fatto ben sperare. Purtroppo però erano solo poche pagine su 195.
Volendo trovare un lato positivo posso dire che il romanzo ha fatto nascere in me tanta curiosità riguardo la storia di questo giornalista di cui non conoscevo l’esistenza.
Credo proprio che cercherò altri testi sull’argomento.
Chissà.. forse avevo delle aspettative troppo alte ma, indubbiamente, mi aspettavo qualcosa di completamente diverso. Mi aspettavo una prosa più giornalistica, quasi come fosse un reportage.
Avrei voluto leggere più informazioni sulla guerra, contestualizzata magari nel periodo storico di riferimento.
Avrei voluto che venisse data più importanza alla figura di Antonio Russo.
Questo libro aveva un enorme potenziale ma, a mio avviso, non è stato sfruttato.
Alla fine comunque il cerchio si chiude, in un modo o nell’altro.
Ultimo punto che vorrei analizzare riguarda l’editing.
Siamo in un mondo in cui l’estetica è un aspetto importante per tutti i prodotti. Perché per i libri dovrebbe funzionare diversamente?
Vi svelo un segreto: è così anche per i libri.
Un lettore vuole avere tra le mani un prodotto bello, sotto tutti i punti di vista.
Cosa non è considerato bello? Gli errori, i refusi e, ad esempio, i capoversi messi alla rinfusa.
Per non parlare poi dell’impaginazione che dovrebbe essere gradevole da vedere.
Giuro, mi dispiace tanto dover scrivere queste cose di un libro soprattutto se da questo mi aspettavo molto molto di più.
Purtroppo, per quanto mi riguarda, c’è poco da salvare di questo libro.
Ovviamente questa è una mia opinione personale e sarò ben contenta di ascoltare i vostri pareri se qualcuno avesse letto il romanzo in questione.
Vi lascio l’incipit qui.
Voto: ⭐⭐/5.
–Elaysa–
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