Ehi tu, leggi l’incipit 📖

Buonasera Viaggiatori!

Ieri sera ho deciso di iniziare una nuova lettura da affiancare al solito mattone thriller che sto leggendo da due mesi (l’ho quasi finito, ce la farò).
Cercando di rispettare la TBR stilata per il mese di dicembre, mi sono immersa nella lettura di un libro molto particolare pubblicato da Feltrinelli per la collana Universale Economica a luglio 2020.
Sto parlando di Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh.
Come al solito, oggi vi propongo l’incipit del libro.

Titolo: Il mio anno di riposo e oblio
Autore: Ottessa Moshfegh
Tratto da: Uno


Ogni volta che mi svegliavo, che fosse notte o giorno, scendevo nell’ingresso pieno di marmo e luce del mio palazzo, e mi trascinavo fino all’angolo dell’isolato dove c’era una bodega che non chiudeva mai. Prendevo due bicchieroni di caffè con panna e sei dosi di zucchero ciascuno, tracannavo il primo nell’ascensore che mi riportava su in casa e poi sorseggiavo piano il secondo, mentre guardavo film sgranocchiando salatini a forma di animali e prendevo un po’ di trazodone, Ambien e Nembutal fino a riaddormentarmi. Così avevo perso il senso del tempo. Erano passati giorni, settimane, mesi. Quando mi veniva in mente di mangiare, ordinavo qualcosa al ristorante Thai di fronte, o un’insalata di tonno dal diner sulla First Avenue. Spesso al risveglio, trovavo sul cellulare messaggi vocali di parrucchieri o estetisti che chiedevano conferma di appuntamenti che avevo preso mentre dormivo. Richiamavo sempre per cancellarli, anche se detestavo farlo perché detestavo parlare con la gente.
All’inizio di questa fase, una volta alla settimana venivano a ritirare i vestiti sporchi e mi consegnavano quelli puliti. Trovavo conforto nel fruscio dell’involucro di plastica strappato quando le finestre in soggiorno erano aperte. Mi piaceva sentire il profumo di bucato fresco mentre mi appisolavo sul divano. Ma dopo un po’ era troppo faticoso raccogliere i vestiti sporchi e ficcarli nel sacco del bucato. E il rumore della lavatrice e dell’asciugatrice mi disturbava il sonno. Quindi buttavo via le mutande sporche, che comunque mi ricordavano Trevor. […]
Facevo la doccia non più di una volta alla settimana. Avevo smesso di disegnare le sopracciglia con le pinzette, smesso di schiarire i peli, smesso di farmi la ceretta. Avevo smesso di spazzolarmi i capelli. Niente creme esfolianti o idratanti. Non uscivo quasi mai.
[…]
Iniziai ad andare in “ibernazione” come meglio potevo a metà giugno del 2000, a ventisei anni. Vidi l’estate morire e l’autunno diventare freddo e grigio da una stecca rotta nella veneziana. Sentivo i muscoli rattrappirsi e le lenzuola erano ingiallite anche se di solito mi addormentavo davanti alla tele sul divano.

Elaysa

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