Buongiorno Viaggiatori!
come ogni martedì, oggi è arrivato il momento di svelarvi l’incipit della mia nuova lettura che, tra l’altro, non vi ho ancora mostrato.
Pronti?
Non credo che il libro abbia bisogno di presentazioni…

Titolo: Il Miglio Verde
Autore: Stephen King
Tratto da: 1
Gli avvenimenti risalgono al 1932, quando il penitenziario di Stato si trovava ancora a Cold Mountain. E là c’era anche naturalmente la sedia elettrica.
I detenuti scherzavano sulla sedia, come sempre si fa delle cose di cui si ha paura, ma da cui non ci si può sottrarre. La chiamavano Old Sparky, come dire la Scintillante o Big Juicy, la Scaricona. Circolavano battute sulla bolletta della luce e su come e dove Moores, il direttore del nostro carcere, avrebbe cucinato il suo pranzo del Ringraziamento, quell’autunno, con la moglie Melinda troppo malata per mettersi ai fornelli.
Ma in quelli che dovevano veramente sedervisi, la voglia di scherzare si spegneva in un baleno. Nel periodo da me trascorso a Cold Mountain ho presieduto a più di settantotto esecuzioni (questo è un numero sul quale non ho mai fatto confusione; me lo ricorderò sul letto di morte) e credo che, per la maggioranza di quegli uomini, la verità di ciò che stava accadendo li colpiva finalmente come una legnata quando gli bloccavano le caviglie alla solida quercia delle gambe di Old Sparky. In quel momento (vedevi la consapevolezza riempirgli piano piano gli occhi, una specie di freddo sgomento) si rendevano conto che le gambe avevano concluso la loro carriera. Dentro vi scorreva ancora il sangue, i muscoli erano ancora reattivi, ma avevano chiuso lo stesso; non avrebbero percorso nemmeno più un metro di un sentiero fra i boschi, non avrebbero più ballato con una ragazza a qualche festa di campagna. Ai clienti di Old Sparky la coscienza della propria morte saliva dalle caviglie. C’era un sacchetto nero di seta da mettergli sulla testa quando avevano finito di pronunciare le loro ultime parole, perlopiù incoerenti. Il cappuccio era per loro, ma io ho sempre pensato che in realtà fosse per noi, per impedirci di vedere l’orribile marea di sgomento che sale nei loro occhi quando cominciano a capire che moriranno con le ginocchia piegate.
A Cold Mountain non c’era un braccio della morte, solo il Blocco E, separato dagli altri quattro e grande suppergiù un quarto, in mattoni invece che di legno, con una raccapricciante lastra di metallo per tetto, che nel sole estivo scintillava come un occhio in delirio. Sei celle, tre per lato su un ampio corridoio centrale, ciascuna grande quasi due volte le celle degli altri quattro blocchi. Ed erano singole. Spazi generosi per una prigione (specialmente negli anni Trenta), ma i detenuti le avrebbero volentieri scambiate per una qualunque delle celle negli altri quattro settori. Credetemi, lo avrebbero fatto.
–Elaysa–
ATTENZIONE!
Per chi non lo sapesse ancora, sono affiliata ad Amazon. Cliccando sui miei link e acquistando dagli stessi, percepirò una piccola percentuale sul vostro acquisto.
I guadagni verranno utilizzati per acquistare libri.
Link generico di affiliazione: https://amzn.to/2GvYZP9.