LIBRI IN PILLOLE 📚 18

Buongiorno Viaggiatori!

In occasione della pubblicazione della cinquina dei finalisti del Premio Strega, oggi sul blog torna l’appuntamento con la rubrica Libri in pillole, il cui protagonista non poteva essere altro che uno dei libri finalisti, l’unico candidato al Premio che, ad oggi, sono riuscita a leggere.

Titolo: Il pane perduto
Autrice: Edith Bruck
Casa editrice: La nave di Teseo

Se dovessi definire con una parola questo libro direi intenso.
Attraverso queste pagine e la sua scrittura così diretta e, oserei dire, impressionista, Edith Bruck ci fa entrare nella sua vita, nella sua mente e anche nel suo cuore.

Di fatto, Il pane perduto è un mémoire, scritto in prima persona dall’autrice nonché protagonista della storia.
E’ una storia di speranza ma anche di amara presa di coscienza.

Il libro si apre con la scena di una bambina che gioca innocentemente per le stradine del villaggio.

Tanto tanto tempo fa c’era una bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti, correva scalza nella polvere tiepida. Nella viuzza del villaggio dove abitava, che si chiamava Sei Case, c’era chi la salutava e chi no.

L’idillio apparente però dura poco perché quella bambina è ebrea e presto non conoscerà altro se non la sofferenza.

Deportata ad Auschwitz insieme a sua sorella, Edith deve diventare improvvisamente donna; deve imparare a badare a sé stessa, a guardarsi le spalle in un luogo il cui nome veniva pronunciato sottovoce, negli occhi il terrore.

Abbiamo vissuto tra agonia, morti, freddo, fame, fino all’ultimo appello del 15 aprile, ma dall’alba alle nove non venne nessuno a contarci. La kapò che ci metteva in fila a bastonate, perché alcune di noi non riuscivano più a stare in piedi, era sparita.
L’abbandono totale era la morte?

No, l’abbandono non era la morte. Era la libertà.
Edith è sopravvissuta al luogo degli orrori, insieme a sua sorella.

Ora, apparentemente, iniziava una nuova vita.
Inconsapevoli di ciò che avrebbero trovato all’esterno, si illudevano che tutto sarebbe stato esattamente come prima.
Purtroppo però, il mondo era cambiato.
La gente era cambiata.
E certi traumi sono destinati a rimanere indelebili, sulla pelle e nel cuore.
Ma bisognava reagire, Edith voleva reagire.
Non si sarebbe arresa ora; non dopo aver vissuto, ed essere sopravvissuta, al campo di concentramento.

La gente era respingente ovunque, frettolosa, impaurita, sospettosa, snervata e desiderosa di liberarsi di noi al più presto.

CONSIGLIATO SE:

🔷 cercate un libro dedicato all’Olocausto diverso dagli altri;

🔷 vi piace uno stile di scrittura diretto, nudo e crudo;

🔷 apprezzate le narrazioni composte per “scene“;

🔷 siete alla ricerca di un libro che, nonostante tutto, infonda coraggio.

Elaysa

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