Buongiorno Viaggiatori!
Oggi torna l’appuntamento con Libri in pillole, la rubrica dedicata a libri brevi ma intensi che meritano un approfondimento.
In questo articolo vi racconto Acido solforico, il romanzo distopico di Amélie Nothomb, pubblicato in Italia per la prima volta da Voland nel 2010.
È il secondo libro che leggo dell’autrice belga e inizio già ad identificare alcuni dei suoi elementi stilistici tipici che andrò ad analizzare nel corso dell’articolo. Si tratta, come dicevo, di un romanzo distopico dai tratti angoscianti che riporta in vita, ai giorni nostri, uno dei momenti più drammatici della storia dell’umanità ovvero il periodo nazista.
Titolo: Acido solforico
Autrice: Amélie Nothomb
Casa editrice: Voland
Una parola per questo libro: disturbante.
Prima di addentrarci nell’analisi, partiamo come sempre dall’incipit che recita così:
Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.
Per essere fermati non serviva alcun requisito. Le retate si verificavano ovunque: chiunque veniva portato via, senza possibilità di appello. L’unico criterio era l’appartenenza al genere umano.
Un incipit che definirei parlante; poche righe che riescono a catturare l’attenzione del lettore e suscitare in lui, fin da subito, un’emozione, sarete d’accordo con me, del tutto negativa scaturita dall’accostamento bizzarro di due parole come sofferenza e spettacolo.
Come può fare spettacolo, la sofferenza? Purtroppo, il libro in questione ci dimostra che quando si ha a che fare con la cattiveria umana, tutto è possibile.
All’incipit sopra riportato, segue la presentazione di quella che si rivelerà essere la protagonista vera del romanzo, Pannonique. Una studentessa ventenne che, una mattina qualunque, viene prelevata da un camion e deportata, passatemi il termine, usato non a caso, all’interno di Concentramento, un reality show che ricalca in tutto e per tutto i campi di deportazione nazista. L’unica differenza è che qui, l’orrore è trasmesso in diretta in mondovisione.
Siamo quindi difronte al trionfo dell’orrore, un orrore che coinvolge tutta la collettività, non soltanto i soggetti responsabili di aver creato un simile scempio. Difatti, responsabili sono anche i telespettatori stessi che continuano a guardare la trasmissione senza opporsi. Anzi, al contrario, ormai intrappolati nel delirio mediatico, diventano essi stessi protagonisti e carnefici attraverso il televoto, nell’ebrezza generale.
I giornali non parlarono d’altro. Gli editoriali divamparono, gli intellettuali tuonarono. Il pubblico invece ne volle ancora, fin dalla prima puntata. Il programma, che si chiamava sobriamente Concentramento, ottenne ascolti record. Non si era mai visto l’orrore così in presa diretta.
Va da se che il romanzo rappresenta a tutti gli effetti una critica alla società contemporanea che, non soltanto dimostra di non aver imparato nulla dagli eventi passati ma addirittura trae piacere dalla visione dei soprusi che vengono perpetrati ai danni di queste persone che, ricordiamolo, spesso appartengono a categorie deboli.
Allo stesso modo, come accadeva in Cosmetica del nemico, anche il lettore diventa testimone di tutto ciò che viene raccontato attraverso l’occhio dell’autrice che sembra avere, essa stessa, una telecamera tra le mani.
Perfettamente coerente con la narrazione, la Nothomb ci racconta scene di vita all’interno del campo come se queste fossero viste attraverso l’obiettivo della telecamera che poi trasmette in diretta l’orrore. Un orrore che fa audience, evidentemente, come nei peggiori distopici che, a pensarci, non sono poi così tanto distanti dalla nostra realtà.
L’autrice quindi fa da lente di ingrandimento su ciò che accade all’interno del campo, sui conflitti che nascono dalla convivenza forzata di queste persone, ridotte in schiavitù. Un coinvolgimento da non sottovalutare in quanto conferma l’esistenza di una colpa collettiva di tutta la società intera.
Ancora una volta, come in Cosmetica del nemico, i protagonisti si trovano in trappola all’interno di uno spazio circoscritto, dal quale è impossibile scappare, costretti a fare i conti con un incubo senza senso e senza altra soluzione se non la morte.
Depersonalizzazione, schiavitù, eliminazione. Sono questi gli step attraversati dai protagonisti che vengono rappresentati come contrapposti: da un lato abbiamo i prigionieri, nonché concorrenti del reality in questione; dall’altro troviamo coloro che interpretano il ruolo di kapò del campo.
E proprio il rapporto che si crea tra questi personaggi sarà fondamentale man mano che si procede nella vicenda.
Infatti, se all’apparenza l’autrice ce li descrive come lontani, sono in realtà dei personaggi-specchio che si riflettono a vicenda e che, loro malgrado, sono ugualmente vittime di un sistema stabilito da qualcun altro identificato con la collettività stessa.
CONSIGLIATO SE:
🔹 volete leggere un libro che presenti una critica feroce alla società e ai suoi meccanismi perversi; una società composta da persone incapaci di alzare la voce per far difendere i loro simili.
🔹 siete alla ricerca di una storia breve ma intensa e ricca di spunti di riflessione
🔹 volete leggere un racconto che attinge da eventi importanti della nostra storia, ambientato però nella contemporaneità
🔹 vi piacciono gli autori che costruiscono personaggi ben caratterizzati e creano una relazione significativa tra essi.
Contrariamente a Cosmetica del nemico, Acido solforico è molto meno complesso a livello di intreccio. Nonostante questo però, anche in qui possiamo riscontrare la presenza di alcuni ribaltamenti di trama guidati dai personaggi centrali.
Bene Viaggiatori, per oggi è tutto.
Spero che questo articolo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito circa il romanzo di Amélie Nothomb.
Personalmente, non posso fare altro che confermare la mia prima impressione e rinnovare la mia volontà di leggere altri suoi scritti.
A presto,
–Elisa–
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