Buon pomeriggio Viaggiatori!
Oggi vi parlo di Games. Piccoli giochi innocenti di Bo Svernström un thriller nordico bello corposo, di quelli che di solito mi piacciono tanto.
Dalla quarta di copertina:
Robert Lindström ha un segreto: in un impeto di rabbia, ha ucciso un suo amico. Però non se lo ricorda.
All’epoca aveva solo undici anni e sebbene fosse stato ritenuto colpevole non fu condannato perché minorenne. Ma dovette fare i conti con il peso del giudizio sociale e dell’isolamento.
Due decenni dopo, la nebbia continua a invadere la sua mente quando prova a ricostruire cosa accadde quel giorno. Per avere una vita normale, Robert si è trasferito a Stoccolma ed è lì che lo trova Lexa, una giornalista convinta dell’innocenza di Robert e impegnata in un’inchiesta su quella brutta storia.
Insieme, iniziano a scandagliare il passato nel sobborgo in cui lui è cresciuto.

Al centro della vicenda troviamo quindi un caso mai risolto di omicidio che viene riaperto a distanza di dieci anni e che getterà scompiglio sulla vita dell’uomo, all’epoca undicenne, che fu accusato di aver commesso il reato.
Omicidi, indagini, misteri da svelare e un assassino ancora a piede libero. Tutti ingredienti perfetti per un intreccio succulento.
Tuttavia, nonostante le premesse ottime, la realizzazione si è rivelata poi mediocre, assolutamente non all’altezza delle aspettative. Tanta carne al fuoco che però, a mio avviso, non è stata gestita nel modo giusto.
Ho riflettuto tanto prima di scrivere questa recensione perché faccio sempre fatica a parlare di ciò che non mi convince in un libro ma sono qui per questo quindi, metto in ordine le idee e scrivo.
Partiamo con l’analizzare la struttura stessa del romanzo.
Fin da subito, il lettore si trova davanti ad un intreccio non lineare né nel tempo né nello spazio, caratteristica che potrebbe risultare problematica per certi versi. Infatti, oltre ai continui salti temporali, prontamente segnalati con l’indicazione della data ad inizio capitolo, abbiamo anche un alternarsi di prima e terza persona che segue il punto di vista ora di Robert Lindstrom, ora degli altri personaggi fulcro della vicenda.
Indubbiamente, una narrazione di questo tipo non è facile da seguire, almeno sul momento; tuttavia io credo che risulti, ora della fine, una carta vincente per catturare l’attenzione di chi legge e creare un intreccio solido, abitato da personaggi ben caratterizzati, tanto da sembrare reali, posizionati a loro volta in un contesto ben descritto e costruito.
E, a proposito dei personaggi, sono rimasta molto colpita dalla loro caratterizzazione nonché dalla loro introspezione psicologica; ogni personaggio all’interno del libro infatti, ha il suo modo di fare che deriva da un trascorso, come succede nella vita reale. Anche gli adolescenti che compaiono nella storia rispecchiano perfettamente il modo di comportarsi dei giovani di oggi; inaspettatamente, questo si riscontra anche nel linguaggio che coincide con quello tipico giovanile. Per questo ovviamente bisogna complimentarsi con il traduttore Andrea Berardini che ha saputo rendere in italiano espressioni e dialoghi.
Personalmente, credo che sia proprio questo il punto forte del thriller in questione; è stato grazie alla caratterizzazione dei protagonisti se ho perseverato nella lettura e ho creduto, addirittura, di avere davanti uno di quei thriller che non mi sarei dimenticata tanto facilmente.
Per tutta la prima parte del romanzo, ho avuto l’impressione che fosse ben scritto e coinvolgente al punto giusto anche se all’inizio è stato difficile seguire il filo degli eventi, come ogni thriller che si rispetti.
Purtroppo però, da un certo punto in poi, l’attenzione è scesa progressivamente a causa delle tante scene vuote, completamente inutili ai fini della storia. Infatti, come ho potuto constatare proseguendo nella lettura, molte scene sono state inserite soltanto come espediente narrativo per collegare le diverse scene; di fatto si tratta quindi di scene di passaggio che non aggiungono nulla all’azione principale del romanzo e anzi, al contrario, contribuiscono a far calare la tensione e l’attenzione in chi legge.
Ne deriva quindi un romanzo strutturalmente sbilanciato in cui da un lato, abbiamo le scene fulcro della storia, cariche di tensione, descritte fin nei minimi particolari, in cui agiscono personaggi ben delineati e riconoscibili nella personalità e nelle emozioni che li rendono identificabili; dall’altro lato invece, c’è una quantità innumerevole di scene senza nessun tipo di suspense, in cui i personaggi fluttuano in un luogo non meglio identificato.
Inoltre, c’è uno sbilanciamento tra le scene che si focalizzano sull’indagine e quelle in cui l’azione fa da padrona.
Questo dà luogo ad una narrazione che risulta, di fatto, piatta con qualche picco di suspense che però non arriva mai a livelli estremi. Di conseguenza, il lettore ha tutto il tempo di farsi le proprie congetture e capire fin da subito dove si vuole andare a parare.
I colpi di scena ci sono ma non sono così inaspettati come invece dovrebbe succedere in un bel thriller. Non lasciano a bocca aperta, ecco.
Veniamo infine alla scelta dell’ambientazione. Come ci dice la quarta di copertina, il tutto si svolge a Stoccolma ma, di fatto, potremmo essere in qualsiasi altra città e, per giunta, non per forza nel nord Europa. Insomma, la città non è per nulla caratterizzata e di nordico troviamo solo il nome delle vie che ogni tanto vengono nominate.
Magari dipende dal fatto che ho letto tanti thriller nordici nella mia carriera di lettrice, uno su tutti la trilogia di Millennium di Stieg Larrsson, ma sono rimasta abbastanza delusa dalla povertà delle descrizioni e dalla poca caratterizzazione del mondo in cui la storia è inserita.
Infine, l’ultimo punto critico è rappresentato, ovviamente, dalla risoluzione finale dell’indagine. In una parola: prevedibile.
La scena fulcro di questa parte del romanzo, inoltre, risulta molto frettolosa sotto tutti i punti di vista; l’azione è confusa e per niente soddisfacente. Anche in questo caso ci sono dei picchi di tensione che però non raggiungono mai i livelli a cui sono abituata.
Tirando le somme: Games. Piccoli giochi innocenti è un thriller mediocre che avrei potuto benissimo evitare di leggere. Il punto forte del romanzo sono sicuramente i personaggi che, come detto finora, sono reali e ben caratterizzati.
L’intreccio non soddisfa, così come la risoluzione finale. In alcuni momenti risulta scontato e prevedibile, soprattutto se siete dei veterani del genere.
Su Goodreads ho dato la valutazione di 3 stelline su 5 solo grazie ai personaggi.
Per oggi credo di aver sproloquiato abbastanza.
Se avete letto questo romanzo, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto,
–Elisa–
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